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Lungo il Sentiero dei Briganti, nell’Alta Tuscia, si ripercorrono le tracce dei banditi che, durante il XIX secolo, seminarono il terrore in questa zona.
Si tratta di un itinerario lungo quasi 100 km, percorribile a piedi, in bicicletta o a cavallo, che collega la Riserva Naturale di Monte Rufeno, al confine tra Lazio, Umbria e Toscana, con Vulci, in piena Maremma laziale. Il percorso, un progetto realizzato dalla Comunità Montana “Alta Tuscia Laziale”, con la collaborazione dei comuni di Canino, Farnese e Ischia di Castro, unisce:
- due riserve naturali regionali, quella di Monte Rufeno, già citata, e la Riserva Naturale della Selva del Lamone;
- due laghi, il lago di Bolsena e il lago di Mezzano;
- due bacini fluviali, dei fiumi Paglia e Fiora;
- un oasi del WWF, a Vulci;
- numerose aree archeologiche.
Il filo conduttore che collega tra loro tutti questi elementi naturali e storico-artistici in questa porzione del territorio laziale è un itinerario storico che attraversa i luoghi dove numerosi briganti nacquero, vissero e operarono i loro misfatti durante la seconda metà dell’Ottocento.
Storie di briganti nell’Alta Tuscia

In questo territorio isolato e selvaggio, impervio e scarsamente popolato, ai confini tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, prima, ed il neo formato Regno d’Italia, poi, nel corso del XIX secolo, il fenomeno del brigantaggio trovò le condizioni favorevoli per svilupparsi e sopravvivere a lungo.
La mancanza di vie di comunicazione, che rendeva questi luoghi isolati ed inaccessibili e la presenza di ampie macchie boschive selvagge, connesse tra loro da profonde gole solcate da torrenti e fossi, furono fattori determinanti per lo sviluppo di questo fenomeno. Ma non solo. Era una terra di confine, si è detto, in mano ad alcune grandi famiglie di nobili proprietari terrieri, una terra di nessuno, afflitta dalla miseria e dalla malaria, dove i malfattori e i fuorilegge dell’epoca potevano nascondersi e, allo stesso, tempo praticare i loro misfatti.
Tra omicidi, grassazioni, scontri a fuoco con le forze dell’ordine, nel corso dell’Ottocento numerose losche figure seminarono il terrore in questo territorio, operando in piccoli gruppi ma, alcune volte, articolandosi in vere e proprie reti e organizzazioni criminali. Tra i vari, Fioravanti, Ansuini, Ranucci, Chiappa, Nocchia, Erpita, Brando Camilli, Petrucci, Casali, Fumetta, Menichetti, Bustrenga, Marintacca, Biagini, Basiletto, Biscarini, emerse la figura del Tiburzi, Domenico Tiburzi da Cellere, detto “Domenichino” per la sua bassa statura.
Considerato il più noto brigante dell’Alta Tuscia, il “Re del Lamone”, il “Giustiziere di Cellere”, la fama di Tiburzi si deve più alle sue doti organizzative e manageriali, che alla sua crudeltà o al suo coraggio. Riuscì infatti a creare una banda criminale, molto bene articolata, di cui lui stesso era a capo, circondandosi di collaboratori fidati che pagavano con la vita il tradimento, e reclutando ogni tipo di gente nelle varie località, come vivandieri e/o informatori.
Grazie alla sua capacità di mantenere gli equilibri con i potenti locali, evitando scontri con la polizia, offriva loro protezione da altri briganti e da qualsiasi altro tipo di problematica, ricevendo in cambio laute ricompense, in proporzione, comunque, alle loro proprietà. Intorno al suo personaggio nacque un mito, il mito di un brigante buono, rispettato dalla sua popolazione. Anche se poi, in realtà, le efferatezze dei suoi omicidi, non lo rendono poi così diverso dai suoi colleghi briganti.
Il Sentiero dei Briganti: le tappe

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Se fino alla fine dell’Ottocento non era certo consigliato addentrarsi in questo territorio, oggi, attraversarlo percorrendo il Sentiero dei Briganti è un’occasione unica per conoscere una zona del Lazio ancora poco esplorata, ricca di bellezze storico-artistiche, naturalistiche e paesaggistiche.
Il percorso è diviso in 5 tappe, di una lunghezza compresa tra i 20 e i 25 km circa ciascuna, che, quindi, possono essere percorse ognuna in un giorno, sia ipotizzando un’attività di trekking sia un’attività di biking. Ogni tappa ha la sua particolarità attraversando zone con caratteristiche diverse tra di loro, e porta il nome di uno dei briganti originario di quella specifica zona:
- il Sentiero di Fioravanti
- il Sentiero di Ansuini
- il Sentiero di Menichetti
- il Sentiero di Tiburzi
- il Sentiero di Biscarini
Il Sentiero di Fioravanti
Il Sentiero di Fioravanti rappresenta la prima tappa del Sentiero dei Briganti: lunga 20,5 km parte dal Casale Monaldesca sulle pendici del Monte Rufeno e attraversa tutta la Riserva Naturale omonima, al confine tra Lazio, Umbria, e Toscana. Un territorio di quasi tremila ettari di boschi e un patrimonio di antichi edifici rurali, costituito da 34 casali abitati da contadini, fino a circa 50 anni fa.
Lasciata la Riserva Naturale del Monte Rufeno, il Sentiero di Fioravanti attraversa la valle del fiume Paglia avvicinandosi al borgo di Proceno, che, dall’alto, domina la vallata con il suo Castello. A quest’altezza del percorso, a circa tre chilometri di distanza, si trova il borgo di Acquapendente, che merita una visita per la ricchezza architettonica e artistica del suo centro storico. Il tragitto prosegue in direzione di Onano, conosciuto come paese delle lenticchie.
Il Sentiero di Ansuini
La seconda tappa del Sentiero dei Briganti parte proprio a poche centinaia di metri dal nucleo storico del borgo di Onano e, lungo un tragitto di circa 26 km, attraversa una successione di boschi e vallate. Il percorso si dirige verso la strada statale maremmana che, dopo un tratto in salita, in cima al quale è possibile ammirare il lago di Bolsena, scende, attraversando terreni ricoperti da vigneti e uliveti.
Il percorso segue la strada asfaltata che da Grotte di Castro porta al lago di Bolsena. A questo punto si può fare una piccola deviazione in direzione di un promontorio ricoperto da un fitto bosco, per visitare le necropoli etrusche di Pianezze e delle Cento Camere. In alternativa, si prosegue il percorso che costeggia per circa sette km il lago di Bolsena. Il tratto finale conduce alla chiesa di San Magno, costruita nel XV secolo in pietra vulcanica locale, palcoscenico di eventi efferati legati al brigantaggio.
Il Sentiero di Menichetti
La terza tappa del Sentiero dei Briganti si estende per circa 21 km; lasciando le sponde del lago di Bolsena, si addentra nuovamente all’interno e attraversa la valle del lago di Mezzano fino a giungere al bivio per Valentano. Lasciando la strada litoranea che costeggia il lago, il tragitto in salita raggiunge uno dei punti più alti dell’intero percorso. Si tratta del Passo della Montagnola a quota 639 m s.l.m. da cui si può godere di una vista mozzafiato del lago di Bolsena con le sue due isole, l’isola Bisentina e l’isola Martana, e, in lontananza, il centro di Capodimonte.
Superato il Passo, si comincia a scendere in direzione della valle del lago dei Mezzano; si passa per il borgo di Latera e si attraversano terreni ricoperti da vigneti e castagneti. Si arriva al lago di Mezzano, lo si costeggia e si arriva al bivio per Valentano, distante pochi chilometri dal sentiero. Da qui si può comunque ammirare la Rocca Farnese che svetta sulla vallata. Il percorso prosegue in salita in direzione della Riserva Naturale della Selva del Lamone.
Il Sentiero di Tiburzi
Il quarto tratto del Sentiero dei Briganti attraversa la Riserva Naturale della Selva del Lamone e termina nelle vicinanze dell’antica città di Castro. Il territorio è ricco di centri rupestri abbandonati ed eremi. Dopo aver costeggiato il fosso della Faggeta, il percorso entra all’interno della Riserva della Selva del Lamone, un’area boschiva di 2300 ettari (perlopiù cerrete pure o miste) formatasi su una “giovane” colata lavica.
Durante la stagione invernale e primaverile quest’area si ricopre di piccoli stagni che ospitano diverse specie di uccelli di palude. La riserva è inoltre habitat naturale di diverse specie animali, come il gatto selvatico e il biancone. Uscendo dalla Riserva Naturale, il percorso prosegue in direzione dell’antica città di Castro, i cui resti si possono visitare con una piccola deviazione. La città venne costruita nel XVI secolo, divenendo il centro più importante dell’ omonimo Ducato. Qui lavorò il Sangallo, arricchendola di monumenti. Venne però distrutta nel 1649 per volontà di Papa Innocenzo X.
Il Sentiero di Biscarini
Il quinto e ultimo tratto del Sentiero dei Briganti, il Sentiero di Biscardini, porta da Castro a Vulci, attraversando un territorio caratterizzato dalla presenza di travertino e tufo, ricco di cave e grotte scavate nella roccia, abitate durante il periodo medievale. Il tragitto passa anche per due eremi, quello di Poggio Conte e quello di Ripatonna Cicognina.
Proseguendo in direzione di Vulci si attraversa il bosco Baccano, ricco di querceti; quindi si attraversa la vallata del fiume Fiora che sfocia nel Tirreno nei pressi di Montalto di Castro. Lungo il percorso si avvistano le rovine dell’antica città etrusca di Vulci, intorno alla quale, con una piccola deviazione, è possibile visitare anche numerose necropoli. Il Sentiero termina giungendo a Montalto nelle vicinanze del ponte dell’Abbadia.
Non rimane quindi che aspettare la fine dell’emergenza coronavirus e prepararsi per intraprendere questo bellissimo itinerario, un viaggio a ritroso nel tempo, tra storia, leggende e natura, alla scoperta della Tuscia dei briganti.
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