Le cave di travertino di Tivoli tra storia, tecnica e natura

Foto aerea della zona delle cave di travertino estesa tra Tivoli e Guidonia, nei pressi di Roma.
Vista aerea della zona attuale delle cave di travertino tra Tivoli e Guidonia – Photo Credits: Google Maps

Nel territorio tra Bagni di Tivoli e Guidonia Montecelio, ad est di Roma, esiste una vasta zona di cave di travertino, in parte ancora attive, ricca di storia. Alcune di queste cave hanno origini antichissime: dalla più antica, denominata Cava del Barco, venne estratto il travertino usato per costruire i monumenti più famosi della Roma Imperiale e di epoche successive.

Dal Teatro di Marcello, a Porta Maggiore, al Colosseo, passando, nel Seicento, al colonnato di San Pietro, alle famose fontane di piazza Navona e di Trevi, fino, in tempi piu moderni, ai Muraglioni del Tevere, al quartiere dell’Eur, allo Stadio Olimpico, alle opere di architettura contemporanea dell’Ara Pacis e dell’Auditorium, la gran parte dei monumenti antichi e moderni della Capitale è stata costruita con questo particolare “marmo” di Tivoli, denominato travertino.

L’attività estrattiva ha caratterizzato fin dall’epoca romana questa zona poco distante da Roma, che però oltre alle cave, che oggi si configurano come grandi ferite di questo territorio, presenta anche situazioni ambientali di rilievo, tra cui il bacino delle Acque Albulae ed il fiume Aniene. In realtà, sono proprio le caratteristiche idrogeologiche di quest’area, molto complessa dal punto di vista geologico per la presenza di faglie attive, sorgenti idrotermali e fenomeni carsici, che hanno permesso la formazione nei secoli di questa straordinaria pietra.

Scopriamone insieme le caratteristiche e la storia, e cerchiamo di capirne le grandi potenzialità attuali.

Dal lapis tiburtinus alle moderne cave di travertino di Tivoli e Guidonia, una storia millenaria

L'antica Cava del Barco di epoca romana, chiamato lapidicina, nella Pianta dell'Ager Tiburtinus
La Cava del Barco nella pianta dell’Ager Tiburtinus

La storia del travertino romano, così chiamato per alcune particolarità che lo rendono diverso dal travertino estratto in altre zone d’Italia, affonda le sue radici nel periodo romano, probabilmente già a partire dalla fine del III sec. a.C., anche se alcuni studiosi ipotizzano che, a Tivoli, l’uso di questa pietra possa essere più antico. In epoca romana il travertino veniva chiamato lapis tiburtinus, pietra tiburtina, visto che le cave più importanti si trovavano nel territorio dell’antica Tibur. Fu proprio dalla storpiatura di questa espressione latina che nacque la parola travertino.

Le particolari caratteristiche di questo calcare, particolarmente compatto e resistente agli agenti atmosferici, e allo stesso tempo facilmente modellabile, dalle tonalità chiare e calde e dalla superficie vibrante alla luce, hanno reso il lapis tiburtinus particolarmente adatto allʼuso edilizio fin dai tempi antichi. Infatti è stato utilizzato sia per la realizzazione di elementi strutturali, sia per il rivestimento di facciate, per la realizzazione di sculture, pavimentazioni e arredi.

La grande Cava del Barco, l’antica lapidicina, localizzata nel cuore dell’Ager Tiburtinus, lungo l’ultimo tratto pianeggiante dell’antica via Tiburtina prima di Ponte Lucano e della salita verso Tivoli, fu la prima cava romana di travertino, probabilmente aperta insieme a quella di tufo dell’Acquoria. Entrambe si resero necessarie per soddisfare le accresciute esigenze edilizie del periodo tardo-repubblicano di Roma e poi di quello imperiale. Si pensa che il periodo di auge dell’estrazione di travertino da questa cava sia datato tra il I sec. a.C. ed il II d.C., quando questa pietra sostituì a pieno titolo l’uso del marmo.

Stampa del 1743 raffigurante la tecnica di estrazione dei blocchi di travertino da una cava
La tecnica di estrazione dei blocchi dalla cava – Tavola XIV dell’Opera di N. Zabaglia 1743

L’estrazione dei blocchi di travertino avveniva per serie orizzontali, effettuando dei tagli a gradino: i cavatori, chiamati anche quadratarii, incidevano con il piccone il retro e i laterali dei blocchi; vi infilavano scalpelli o cunei di legno, bagnati frequentemente per aumentarne le dimensioni, e con dei paletti, facevano leva per distaccare il masso.

Quindi si passava alla squadratura grossolana del masso, che poi veniva ulteriormente squadrato nel cantiere edilizio cui era destinato. L’enorme quantità di scaglie prodotta dalla squadratura nella cava veniva trasportata periodicamente a grande distanza sul margine dell’Aniene, dove veniva accumulata in altezza.

Questi accumuli diedero luogo nel corso dei secoli a delle collinette, citate dal Lanciani nel 1885. Tale pratica, usata anche in altre cave nei dintorni, originò una serie di piccoli rilievi che chiudevano la cava verso il fiume. Il monticello più grande, di forma ellittica, conosciuto come Montarozzo del Barco, è stato ricoperto nel tempo da una fitta vegetazione, trasformandosi in un habitat particolare per alcune specie vegetali che hanno trovato in questo luogo le condizioni ideali per vivere e riprodursi.

Il trasporto dei blocchi di travertino avveniva inizialmente per via fluviale lungo l’Aniene come raccontano Strabone, Plinio il Vecchio e Procopio. I blocchi venivano fatti scivolare su dei pali, lungo delle rampe appositamente create, fino alla sponda del fiume dove erano imbarcati su degli zatteroni. Il trasporto del travertino era fatto sfruttando la corrente del fiume o a trazione animale, lungo le sponde. Solo successivamente si incrementò il trasporto su strada, su carri trainati da bufali o buoi, complementare a quello fluviale fino a fine Ottocento, quando venne installato il tramway a vapore Roma-Tivoli (1879). Con questo nuovo sistema di trasporto, i blocchi di travertino venivano caricati su dei vagoni che correvano su appositi binari fino alla stazione ferroviaria di Bagni di Tivoli, giungendo a Roma in tempi molto più rapidi.

In età tardo antica la cava venne abbandonata; durante il Medioevo si impaludò a causa delle inondazioni frequenti dell’Aniene e della presenza delle numerosi sorgenti delle acque albule presenti in questa zona. Ma già dalla fine del Quattrocento, si decise di riattivare la cava, per estrarre la pietra necessaria alla costruzione della Roma rinascimentale e barocca. Se ne ripulì il fondo, così come si ripulì il tratto dell’Aniene da Ponte Lucano al Tevere, per renderlo nuovamente navigabile.

Il Casale del Barco, nella Tenuta del Barco del Cardinale Ippolito d'Este, a Nord della Cava del Barco, in un dipinto di fine Ottocento di Onorato Carlandi
Il Casale del Barco nella Tenuta di Ippolito d’Este in un dipinto di Onorato Carlandi di fine Ottocento

In tutta questa zona si costruirono numerosi casali per alloggiare le numerose maestranze impiegate nell’estrazione, lavorazione e trasporto del travertino; tra questi, uno, in località Fosse di Guidonia fu realizzato su progetto di Gian Lorenzo Bernini. Nella seconda metà del XVI secolo, il nuovo governatore di Tivoli, il cardinale Ippolito d’Este, fece costruire sul margine Nord della sua tenuta di caccia che confinava con la Cava del Barco un bellissimo casale con scuderie e foresterie, il Casale del Barco.

La Cava del Barco venne sfruttata anche nei secoli successivi, sebbene in maniera limitata, riprendendo la sua piena attività dal 1870 circa quando Roma divenne la Capitale del nuovo Regno d’Italia. Dalla realizzazione dei Muraglioni del Tevere, commissionati nel 1871 a seguito della piena del fiume, l’attività estrattiva del travertino romano ha infatti ripreso a pieno ritmo, sostenuta dalla nuova domanda del mercato locale, nazionale e estero e dall’introduzione delle moderne tecniche industriali di estrazione che hanno fatto la loro comparsa agli inizi del Novecento.

Da questo momento in poi nuove cave, più grandi e più profonde, sono state aperte nelle immediate vicinanze della Cava del Barco, espandendosi nell’area compresa tra Bagni di Tivoli, Villanova e Villalba di Guidonia, cancellando il perimetro dell’antica cava romana. L’impatto sul territorio è stato devastante, visto che nel corso degli ultimi decenni molte di queste cave sono state disattivate senza realizzare i necessari adempimenti di ripristino dell’area oggetto di escavazione.

La Zona Speciale di Conservazione (ZSC) IT6030033 “Travertini Acque Albule (Bagni di Tivoli)”, e l’auspicato Parco dei Travertini e delle Acque Albule

Mappa dell'area tra Tivoli e Guidonia con l'indicazione della ZSC IT603003  “Travertini Acque Albule (Bagni di Tivoli)”
La ZSC IT603003 “Travertini Acque Albule (Bagni di Tivoli)” evidenziata in verde – Photo Credits: https://bit.ly/3fiiw3F

Oggi una piccola porzione di questa vasta area estrattiva ricade all’interno della Zona Speciale di Conservazione (ZSC) IT6030033 “Travertini Acque Albule (Bagni di Tivoli)”, una zona di tutela sottoposta a vincolo per il suo alto valore naturalistico, oltre che storico e archeologico.

All’interno di quest’area, entrata far parte della rete europea di aree protette “Natura 2000”, ricadono infatti 4 diversi habitat prioritari oggetto di tutela, a seguito della Direttiva 92/43/CEE “Habitat. Si tratta di quattro habitat di particolare rarità e interesse, oggetto di tutela prioritaria.

In particolare, all’interno della ZSC IT6030033 “Travertini Acque Albule (Bagni di Tivoli)” si trova il cosiddetto Montarozzo del Barco, descritto in precedenza: una sorta di “Testaccio tiburtino”, come è stato definito (Giardini, 2012), ricchissimo dal punto di vista floristico. Nel corso dei secoli questa collinetta, formatasi grazie all’accumulo delle scaglie di travertino scartate dalla vicina cava del Barco, è stata colonizzata da una grandissima varietà di piante: uno studio recente ne ha rilevate ben 268! Si tratta quindi di un sito unico nel suo genere, con un elevato valore botanico e naturalistico, oltre che storico e paesaggistico, che si configura come una testimonianza unica di archeologia industriale.

L’Associazione Parco dei Travertini e delle Acque Albule, neonata associazione no profit, creatasi per il forte allarme ambientale derivato dalla cattiva gestione dei lavori del settore estrattivo di questa zona, ha proposto la creazione del Parco dei Travertini e delle Acque Albule.

Un Parco a vocazione Archeologico-Ambientale e Naturalistica servirà a preservare l’area destinata alle attività estrattive da possibili azioni di rinvaso, di protezione della risorsa termale e della falda dell’acquifero profondo delle Acque Albule, dalla speculazione edilizia e da ulteriore deturpamento e danneggiamento del Paesaggio; soprattutto con le negative conseguenze per le abitazioni civili e le costruzioni nella piana, alle aree protette ed in particolare all’area del SIC IT6030033 Travertini Acque Albule, dell’antica cava del Barco e del fiume Aniene.

Associazione Parco dei Travertini e delle Acque Albule

L’Associazione Parco dei Travertini e delle Acque Albule ha in programma anche la realizzazione di visite nella zona interessata dal progetto del futuro Parco: sarà possibile quindi passeggiare tra antiche cave di travertino, zone di interesse naturalistico e paesaggistico, zone archeologiche di epoca romana, e i casali cinquecenteschi che videro soggiornare il Bernini, venuto in questi luoghi per scegliere il travertino destinato al suo famoso colonnato di Piazza San Pietro.

Non resta quindi che contattare l’Associazione e organizzare una visita in questa particolare e interessantissima zona di archeologia industriale della nostra regione, augurandoci che il progetto del Parco dei Travertini e delle Acque Albule diventi presto realtà.