
Dove sia vissuta esattamente la Maga Circe nessuno lo sa, ma è sul Monte Circeo che, in tempi lontani, i romani costruirono un tempio dedicato a Circe. Ed è lì, in una sontuosa villa immersa nel bosco, che, secondo la leggenda, avrebbe vissuto questa dea, figlia del Sole.
Abitato fin di tempi dell’uomo di Neanderthal, sulle pendici del Monte Circeo, che si protende nel Mar Tirreno ergendosi fino a 541 m di altezza, sono stati ritrovati i resti di un’acropoli e di mura megalitiche.
Qui, in epoca romana, venne fondata Circei, probabilmente nello stesso sito dove, nel Medioevo, sorse il Castrum Sancti Felici, l’attuale San Felice Circeo. La prima colonia romana sarebbe stata creata da Tarquinio il Superbo nel VI sec. a.C.: lo proverebbe un tratto della seconda cinta muraria dell’acropoli, giunta fino ai nostri giorni, che risalirebbe proprio a questo periodo. Conquistata poco dopo dai Volsci, condotti da Coriolano, venne riconquistata dai romani nel 393 a.C.: trasformata in una città fortezza, Circei rimase nelle mani dei romani fino alla caduta dell’Impero Romano.
Ma da dove deriva la denominazione di questo antico insediamento da cui proviene anche il nome Monte Circeo?
Nonostante esistano diverse ipotesi sulla sua origine, per i romani, molto probabilmente, il nome Circei deriverebbe dalla leggendaria figura di Circe. Di questa donna misteriosa, un po’ dea e un po’ strega, parlò per la prima volta Omero nella sua Odissea, il famoso poema epico composto tra il IX e l’VIII sec. a.C., che narra le gesta di Odisseo, alias Ulisse, dopo la fine della guerra di Troia.
La leggenda della Maga Circe

Tra le sue peregrinazioni in mare per tornare nella sua amata Itaca, Ulisse approdò anche sulle coste del basso Lazio, nella zona compresa tra Terracina, all’epoca chiamata Anxur, e un promontorio che sembrava emergere dal mare come un’isola: il Monte Circeo.
E arrivammo all’isola Ea: vi abitava
Circe dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana
(Odissea, X, 135-6; traduzione di G. Aurelio Privitera)
Secondo Omero, Ulisse e i suoi compagni dopo aver lasciato il paese dei Lestrigoni, sbarcarono sull’isola Ea, che gli autori Latini fanno coincidere con il promontorio del Circeo. In effetti, a chi veniva dal mare, come Ulisse, quel promontorio poteva sembrare proprio un’isola: si ergeva in parte sul mare, e in parte sulle paludi che lo circondavano alle spalle. Inoltre, non è escluso che a quel tempo fosse interamente circondato dalle acque.
Su quest’isola viveva Circe, figlia di Elio, il dio Sole, e della ninfa Perseide, secondo una delle tradizioni più accreditate: la sua dimora era un palazzo sontuoso circondato da un bosco e abitato da bestie selvatiche. Si trattava in realtà di uomini che la dea-maga, nel tempo, aveva trasformato in animali, utilizzando pozioni magiche a base di erbe, da lei stessa preparate.
Avendo visto uscire del fumo dalla selva, prima di sbarcare sull’isola, Ulisse mandò i suoi uomini in perlustrazione. I compagni del mitico Odisseo, però, giunti alla dimora di Circe furono invitati dalla stessa ad un banchetto e, dopo aver mangiato e bevuto, furono trasformati in maiali, cani, e leoni a seconda del loro carattere e della loro natura. Solo Euriloco, che non era entrato nella villa di Circe, riuscì a tornare da Ulisse e a raccontargli la vicenda.
Ulisse decise quindi di andare a salvare i suoi compagni di viaggio; lungo la strada che lo avrebbe portato alla villa di Circe, però, venne fermato dal Dio Hermes (Mercurio), che aveva preso le sembianze di un bambino. Il messaggero degli Dei lo avvisò sulla sorte che anche lui avrebbe avuto se non avesse bevuto l’antidoto che quel bambino gli stava consegnando. Giunto nella dimora di Circe, Ulisse, invitato da Circe a bere, prendendo l’antidoto, si salvò dall’incantesimo che aveva trasformato i suoi compagni in porci, e tentò di uccidere la maga, che a quel punto decise di ritrasformare i suoi amici in esseri umani. Circe capì allora che si trattava di Ulisse, figlio di Laerte, e il suo atteggiamento cambiò, aiutandolo a preparare il suo viaggio di ritorno a Itaca.
Ulisse e Circe vissero insieme per circa un anno nella reggia della maga-dea; con lei, secondo la tradizione romana, prima di tornare nella sua patria, Ulisse avrà un figlio, Telegono. Da questo figlio e dalle sue vicende, i romani, che prima della fondazione della colonia di Circei, già conoscevano il mito omerico di Ulisse, faranno discendere la stirpe romana.
Dal mito alla realtà: il tempio di Circe e i resti archeologici del Monte Circeo
Resti archeologici del tempio di Circe sul Picco di Circe e testa della statua di Circe – Photo Credits: https://bit.ly/37pVByw
Mito o realtà, se oggi ci si avventura per uno dei tre percorsi di trekking del Parco Nazionale del Circeo di cui il Monte Circeo fa parte, arrivando sulla vetta, il Picco di Circe, sono ancora visibili i resti di un antico tempio romano probabilmente dedicato a Circe.
La venerazione della popolazione di Circei nei confronti di Circe è testimoniata da vari scrittori latini, come Cicerone e Virgilio, che attestano che il tempio doveva necessariamente trovarsi sulla vetta del Monte Circeo. Anche il geografo greco Strabone, in età augustea, lo conferma:
“…a 290 stadi da Antium c’è il Monte Circeo che sorge come un’ isola sul mare e sulle paludi. Dicono che sia anche ricco di erbe, adattando così a quanto si racconta di Circe. Vi è un piccolo insediamento, un santuario di Circe, e un altare di Atena; viene anche mostrata una tazza che, a quanto dicono, sarebbe appartenuta ad Odisseo…”
Il tempio si ergeva su di un basamento rettangolare di circa 40 x 25 metri, sorretto da alcuni piloni di rinforzo sul lato a valle. Il lato posto verso il mare presenta una tecnica costruttiva in opera poligonale: blocchi di pietra squadrati uniti tra di loro dall’uso di malta, tecnica simile a quella delle mura dell’acropoli di Circei, dove però non ci sono tracce di legante. Il lato opposto e alcune parti del lato ovest, invece, sono costruiti in opus incertum. Quest’ultima tecnica, più antica, dovrebbe risalire ai primi decenni del III sec. a. C, mentre le mura poligonali sarebbero datate alla fine dell’età repubblicana, tra il II e il I sec. a. C.
Intorno al basamento, emergono diversi tratti di muratura. Al centro del tempio dovevano trovarsi un altare e un’edicola sacra con la statua marmorea della divinità al suo interno. Lo dimostrerebbe l’epigrafe, oggi nel Casale di Mesa sulla via Appia, in cui è scritto che l’imperatore Caracalla incaricò Servio Calpurnio Domizio Destro di restaurare “l’altare di Circe Santissima“. L’assenza della struttura di fondazione, insieme alla presenza di un muro parallelo a quello di contenimento, e di molte tegole, hanno fatto ipotizzare che, probabilmente, questo edificio non fosse un vero e proprio tempio, ma un’area sacra circondata da un portico, un Temenos, simile a quello di Diana sul lago di Nemi.
Della statua marmorea di Circe, finora, è stata ritrovata solo la testa, dal 2016 esposta all’interno dei locali della sede della Proloco di San Felice Circeo, alla Porta del Parco . Trovata da un pastore nel 1928, sulle pendici nord del Picco Circeo, la testa di Circe è databile al V sec. a.C. e, stilisticamente, si ispira all’arte di Prassitele. La presenza di alcuni fori ha fatto ipotizzare che la testa della divinità potesse essere ornata con un diadema, elemento con cui, nell’iconografia antica, si rappresentava la figlia del Sole.
L’ipotesi che questi reperti archeologici appartengano veramente al Santuario di Circe non è ancora stata comprovata scientificamente. A noi però basta osservare da lontano il profilo del Monte Circeo per renderci conto che Circe giace addormentata da millenni su quel promontorio, tra i boschi dove un tempo si ergeva la sua magnifica villa.